'Pozzale- Russo': il premio a Cassese, Tobagi e Traverso. Le motivazioni

Ieri sera agli Agostiniani, Empoli

 

EMPOLI – “Premio Pozzale Luigi Russo” sessantaduesima edizione, è stato assegnato agli autori: Sabino CasseseGovernare gli italiani, Il Mulino, Bologna 2014; Benedetta TobagiUna stella incoronata di buio. Storia di una strage impunita. Torino, Einaudi 2013; Enzo TraversoLa fine della modernità ebraica. Dalla critica al potere, Feltrinelli, Milano 2013. La cerimonia conclusiva di premiazione si è svolta ieri sera (martedì 15 luglio) alle 21.30 nel chiostro degli Agostiniani, in via dei Neri, 15 con Brenda Barnini, sindaco di Empoli; i vincitori del ‘Premio’ e i componenti della Giuria che hanno deciso a chi assegnare l’importante riconoscimento della città di Empoli: una storia di impegno civile, passione e letteratura.

Ha presentato la manifestazione Gabriele Ametrano, nato a Roma nel 1978, giornalista, collabora con le pagine culturali del Corriere Fiorentino (dorso locale del Corriere della Sera) e con alcune riviste (Indice dei Libri, VisitArt, Edison Square, MilanoNera).

LE MOTIVAZIONI PER L’ATTRIBUZIONE DEL ‘PREMIO LUIGI RUSSO’.

A Sabino Cassese per il libro Governare gli italiani. Storia dello Stato, pubblicato dalla casa editrice Il Mulino.

Il volume – che spiega con chiarezza il senso del termine “Stato” nelle sue mutevoli apparizioni e funzioni – si segnala per la solidità del suo impianto, il rigore dell’argomentazione, l’ampiezza dei documenti analizzati e, non da ultimo, la sua leggibilità, accompagnata, per chi cerca di approfondire i problemi, da un ampio apparato di note.

Il libro rappresenta un contributo essenziale per capire i motivi della fragilità delle istituzioni dell’Italia post-unitaria e per conoscere l’architettura dello Stato nella specificità delle sue componenti: dalla pubblica amministrazione alla giustizia, dall’economia ai rapporti con la Chiesa, dal sistema dei partiti al governo.

Nell’attuale clima di riforma dei sistemi elettorali (ne abbiamo già avuti dodici) e nel dibattito sulla perdita di sovranità degli Stati nazionali, il libro si caratterizza, infine, per aver sfatato l’idea diffusa che lo Stato abbia perduto la propria funzione in un mondo globalizzato.

A Benedetta Tobagi per il libro Una stella incoronata di buio. Storia di una strage impunita, Einaudi 2014. Al suo secondo libro, dopo “Come mi batte forte il tuo cuore”, dedicato alla memoria del padre Walter ucciso da terroristi di estrema sinistra nel 1980, Benedetta Tobagi affronta di nuovo la storia italiana recente e in particolare la ‘guerra civile’ tra un fascismo mai spento e i tentativi di golpe mai dichiarati, che dal dopoguerra in poi caratterizzano il difficile equilibrio di una democrazia, ostaggio di stragi e aberranti compromessi fra Stato e criminalità. Lo fa a partire dalla ricostruzione partecipe e lucida delle vite di alcune persone coinvolte nella strage di piazza della Loggia, avvenuta il 28 maggio 1974, e prendendo parte lei stessa alle ultime sedute del processo, durato trent’anni, che si conclude con un’inverosimile assoluzione di tutti gli imputati. A prevalere, però nella lucida e meticolosa ricognizione dei fatti, e nella rievocazione calda delle vite di insegnanti, operai, intellettuali e borghesi che credettero alla possibilità di un umanesimo di sinistra promotore di diritti e possibilità per tutti, non è né una volontà di santificazione vittimaria, né la rabbia sconsolata di chi non si è mai visto riconoscere giustizia. Piuttosto è un incalzare di interrogativi, una sete di conoscere e di mettere insieme i fili, perché la trama sia restituzione di memoria e verità: è un riconoscersi insieme a chi non c’è più, intorno alle domande: “Perché sono vivo? Perché lui, lei, loro e non io?”

Un libro pieno di pietas e originalmente costruito ibridando i generi: non del tutto inchiesta giornalistica, non del tutto saggio di storia, non del tutto romanzo, ma le tre cose tenute insieme da una scrittura vivace che sa gestire con acribia e disinvoltura la regia di passaggi diaristici e sentenze di tribunale, di materiali d’archivio e fotografie, di dipinti rinascimentali, vignette, planimetrie, cartine e simboli di gruppi organizzati. Un immaginario che è quello personale dell’autrice ma dovrebbe essere anche nostro collettivo, di un paese che, anziché ripensare il proprio presente a partire dalla storia, fa di tutto per rimuoverne e confonderne le tracce, per viltà o a volte anche solo per inerzia.

Con il saggio ‘La fine della modernità ebraica’, pubblicato in Italia da Feltrinelli, Enzo Traverso aggiunge un’opera particolarmente innovativa alle numerose ricerche che l’hanno già collocato tra gli autori più attenti e originali tra quanti hanno studiato le tragedie del Novecento. Traverso, dopo aver insegnato presso la Facoltà di scienze politiche dell’Università di Piccardia Giulio Verne di Amiens e all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, dal gennaio 2013 è docente alla Cornell University di Ithaca (NY).

Con questo volume – che si inserisce in una coerente linea di mirate esplorazioni – prende in esame la parabola della “modernità ebraica”, dall’Illuminismo alla seconda guerra mondiale: una “modernità” che ha segnato profondamente il pensiero progressista, europeo e non solo, esaltandone il valore critico ed il respiro cosmopolita ed universalistico.

Dal contesto del  travaglio ebraico della diaspora nasce lo stesso obiettivo di un tollerante pluralismo di culture e tradizioni da governare in una visione cooperativa tra identità nazionali. L’intellettualità ebraica ha opposto, alle persecuzioni e alle violenze, riflessioni teoriche e vigore etico destinati a caratterizzare indelebilmente il dibattito tra le due guerre e la faticosa ripresa della vita democratica. Da quando l’antisemitismo ha cessato di presentarsi o essere avvertito come la forma predominante del razzismo, si assiste ad una trasformazione, che rischia di offuscare il significato più profondo e tuttora attuale della “modernità ebraica”. La stessa memoria dell’Olocausto viene spesso coltivata più come una rituale  e doverosa “religione civile” che come una lezione da reinterpretare di continuo al fine di battere i nuovi razzismi e gli inquietanti nazionalismi che attraversano l’Europa di oggi. In questo senso, il libro di Enzo Traverso, come già il suo A ferro e fuoco. La guerra civile europea, 1914-1945 (2007) e Il secolo armato (2012) – una sorta di concatenata trilogia – ha un’evidente finalità didattica ed è importante per rafforzare una comprensione delle esperienze del passato non inquinata da strumentalismi di parte, e per sovvenire criticamente all’“orizzonte di aspettativa” che soprattutto le nuove generazioni avvertono con drammatica e spesso  disorientata impazienza.                                       

La giuria è formata da: Adriano Prosperi, presidente; Roberto Barzanti, Remo Bodei, Laura Desideri, Giuliano Campioni, Loredana Lipperini, Giacomo Magrini, Cristina Nesi, Marco Revelli, Alessandra Sarchi, Biancamaria Scarcia, Gustavo Zagrebelsky e Giuseppe Faso, segretario. Ventiquattro i titoli in concorso tra i quali sono stati scelti i vincitori: uno, è stato vagliato sulla base dell’esperienza e dell’importanza nel panorama culturale italiano; poi è stato scelto un autore per la saggistica e quindi una firma con motivazioni più letterarie. Il premio consiste in una somma di 7mila cinquecento euro da ripartire tra i tre vincitori