Una dote/caratteristica che non può mancare ad una persona inclusiva
RISPOSTA STEPHAN: Senza dubbio l’empatia, la comprensione e la voglia di ascoltare. Non si può essere inclusivi se non si è disposti ad ascoltare le voci delle persone che vogliamo includere. Un difetto che noto troppo spesso in molti attivisti (e politici) è la tendenza a parlare sopra/al posto delle persone che vogliono includere; non si possono prendere decisioni sui diritti di un gruppo marginalizzato senza ascoltare le opinioni delle persone direttamente coinvolte e interessate.
RISPOSTA MEL: Secondo me l’empatia o almeno un’intelligenza emotiva che permetta di capire i sentimenti dell’altra persona. Penso che l’empatia sia una dote innata, mentre l’intelligenza emotiva una caratteristica su cui tutti possono lavorare sopra. Trovo importante sottolineare questo siccome non facendolo si rischia di pensare che “inclusivi” ci si nasce, quando essere delle persone rispettose dovrebbe essere la norma.
Quali sono le condizioni necessarie per cui è possibile fare coming out in maniera serena all'interno di un contesto? Si smette mai di fare coming out?
RISPOSTA STEPHAN: Per fare un coming out sereno è necessario che la persona LGBTQIA si senta al sicuro nell’ambiente sociale in cui si sta “dichiarando”. È una cosa che mi è capitata spesso di dare per scontato; da persona molto aperta sulle mie identità, non avrei problemi a parlarne apertamente con chiunque incontrassi, se l’argomento dovesse venire fuori. Tendo a dare per scontato che tutti siano aperti di mente. Purtroppo non è sempre così e bisogna fare attenzione a volte, per questioni di sicurezza personale. Sarebbe giusto se una persona LGBTQI+ potesse sentirsi al sicuro ovunque andasse, senza dover scrupolosamente analizzare il suo ambiente per decidere se nascondere la propria identità (e spesso anche certi comportamenti "stereotipati" associati) o meno.
Non penso che si smetta mai di fare coming out. Lo vedo come un processo continuo, “eterno”: finché sei diverso, dovrai sempre spiegare perché sei diverso. Le persone danno per scontato che tu sia eterosessuale, cisgender ed endosex; dunque, se differisci da una di queste categorie, devi specificarlo, perché è qualcosa di inaspettato, non “default”.
Ogni volta che incontro una persona nuova con cui mi sento a mio agio, e con cui voglio legare di più (in amicizia o in amore) o che semplicemente voglio informare, devo mostrare quella parte di me. Non posso nascondermi, e soprattutto non voglio nascondermi. Mi piace parlarne e non vedo perché non dovrei. Inoltre, penso che mi rimarrebbe molto difficile nascondermi, dal momento che in certe occasioni potrei avere dei modi di fare considerati poco stereotipicamente “etero”. Quindi, in un certo senso, si fa coming out anche senza esplicitamente dirlo. Ho fatto coming out in così tante occasioni che ormai non lo percepisco più come un “coming out” nel vero senso dell’espressione, ma lo vivo con totale naturalezza. Dico che sono intersex e bisessuale con la stessa tranquillità e naturalezza di quando dico che mi piace un certo cibo o colore. Mi rendo conto che questa mia serenità e spontaneità derivino dal fatto che sono stato molto fortunato ad essere circondato per lo più da persone aperte di mente. Mi rendo conto che purtroppo non è così per tutti. Ho conosciuto molte persone che sono ancora terrorizzate dall’idea del coming out, del vivere autenticamente, proprio perché probabilmente la maggior parte delle persone con cui hanno a che fare non sono tanto aperte di mente. Penso c’entri molto anche il fatto che sono cresciuti in un ambiente in cui la comunità LGBTQIA+ era trattata come un grande tabù di cui nessuno parlava, se non sotto una luce negativa. Piano piano stiamo superando questa cosa, ma c’è ancora molto (progresso) da fare.
RISPOSTA MEL: Quando sei una persona LGBTQIAPK sentire la pressione di dover fare coming out è una sensazione continua, soprattutto se fai parte di diverse lettere della sigla, come me. Sono una donna bisessuale, non-binary, intersex, aromantica, poliamorosa e kinkster, cosa significa questo? Se devo parlare di me o dire la mia in diverse conversazioni, mi è molto difficile non menzionare una di queste cose perché cambiano tantissimo il mio modo di vedere il mondo e le relazioni fra noi esseri umani. Ad esempio, sono una persona assegnata al sesso femminile alla nascita che non si depila (se non ogni tanto il viso) e noto l’imbarazzo di alcune persone che non capiscono se io sia una persona trans ftm o altro. A volte questo imbarazzo diventa vero e proprio disagio, soprattutto se indosso vestiti considerati tipicamente femminili, motivo per cui mi tocca spiegare chi sono e cosa significa essere una persona con variazioni delle caratteristiche di sesso (intersex). Sarò onesto, mi piace parlare di me e fare informazione, anche se a volte è davvero pesante, specialmente se c’è poca mentalità aperta e voglia di ascoltare senza giudicare dall’altra parte.
Per un coming out sereno è molto importante avere delle persone che sappiano ascoltare ed evitare di dare giudizi non richiesti, particolarmente se si basano su stereotipi offensivi (ad esempio che se sei una persona poliamorosa hai automaticamente numerose infezioni sessualmente trasmissibili, se sei bisessuale sei una persona infedele - qualsiasi cosa voglia dire questa parola, che onestamente non capisco - ecc.).
Personalmente posso comprendere l’ignoranza, siccome nessuno nasce ‘imparato’, ad esempio i miei genitori sono nati in zone rurali del sud Italia, quindi non mi aspetto che capiscano tutte queste sfumature, ma l’ignoranza non è una scusa per essere persone offensive e violente nei confronti della diversità. Ad esempio mia nonna materna penso sia una delle persone più ignoranti di questo mondo, è sempre stata una semplice contadina e ha avuto un’istruzione discutibile, eppure è una persona inclusiva: non le importa che tu sia omosessuale, transgender, immigrato, disabile o altro, l’importante è che tu sia una bella persona. Vorrei che tutti fossero come lei ed è per questo che mi arrabbio molto quando qualcuno usa l’argomentazione “dell’ignoranza” per provare a giustificare le violenze.
Ritenete che sia più complicato il coming out quando si parla di intersessualità, rispetto all’identità di genere o orientamento sessuale?
RISPOSTA STEPHAN: Secondo me dire ad una persona che si è intersex è spesso molto più difficile che fare coming out come gay/bi o trans. Ovviamente dipende dal contesto: è chiaro che fare coming out come persona intersex ad un amico affidabile è preferibile al dire che si è gay ad un parente bigotto e chiuso di mente. Però in linea generale è decisamente più difficile dire a qualcun* che si è intersex. La penso così per il semplice fatto che il concetto di intersex è ancora oscuro: pochissime persone conoscono questo termine e sanno cosa significhi. Pure le persone più informate sulla comunità LGBT+, quelle che sanno di tutto e di più sulle questioni gay e trans, possono non aver neanche sentito il termine “intersex”. Quando dico di essere bisessuale, nessuno mi viene a chiedere cosa significa; quando dico di essere intersex devo raccontare tutta la storia della mia vita affinché la gente capisca (lo intendo letteralmente). Questo è uno dei motivi per cui mi sta così tanto a cuore parlare di me come persona intersex. Voglio informare più gente possibile, in modo che un giorno (si spera presto) diventi un termine/concetto molto più noto di quello che attualmente è.
RISPOSTA MEL: I miei coming out sono andati tutti abbastanza bene, fortunatamente ai miei genitori non interessano più di tanto queste cose, per loro l’importante è che io sia felice e circondato da persone che mi vogliono bene e rispettano. Nonostante ciò ci sono ancora alcune difficoltà nell’accettare la mia variazione intersex e fanno fatica a comprendere il mio rifiuto verso la depilazione. Mia mamma si è confidata dicendo che lei è preoccupata che in futuro questa cosa possa mettermi in difficoltà, soprattutto nel cercare un lavoro, mentre mio padre non si è mai espresso a riguardo. Credo che nel suo caso la difficoltà nell’accettare il mio corpo naturale sia una questione di mascolinità tossica e diversi suoi comportamenti mi hanno confermato questa ipotesi. Onestamente non penso di poterci fare più di tanto, è un suo problema, non mio.
Detto ciò trovo che sia una situazione abbastanza assurda: possibile che i miei genitori possano accettare tutte le mie particolarità, fra cui anche la mia sessualità alternativa lasciandomi praticare shibari in casa con delle amiche, ma una cosa così normale come la peluria è difficilmente accettata? Non ne capisco il senso, motivo per cui penso che non ci sia un coming out più complicato di un altro: ci sono numerose variabili e la risposta è molto diversa per ogni situazione.
L’intersessualità è ancora oggi un enorme tabù e questo porta purtroppo a ogni sorta di discriminazione. Da attivisti per i diritti intersex, quali sono secondo voi i concetti base, in cui siamo immersi da sempre, da decostruire?
RISPOSTA STEPHAN: Purtroppo ancora moltissime persone non hanno chiaro il significato del termine “intersex”. Spesso capita che appena scopriamo la nostra variazione, la maniera in cui veniamo trattati dai medici ci “invoglia” a nascondere a tutti i costi il fatto che siamo intersex. Questo porta spesso ad una scarsa apertura sulle nostre esperienze e, conseguentemente, ad un’ignoranza da parte di molte persone (endosex) in merito alle questioni intersex. Da attivisti ci troviamo quindi a dover decostruire tanti miti su cosa significhi essere intersex. Spesso ci troviamo a dover chiarire ripetutamente che intersex non significa “non binario” e che non è neanche un orientamento sessuale. La cosa più assurda che mi sia capitata è quando a 15 anni ho dovuto spiegare ad un mio professore che io, persona intersex, non ero capace di auto-fecondarmi.
Un altro mito estremamente importante da sfatare è quello secondo cui i corpi intersex siano “difettosi” e vadano “corretti”. Questa mentalità è purtroppo comune tra i medici ed è molto pericolosa in quanto porta agli interventi chirurgici e terapie ormonali non-consensuali in età pediatrica. Lo scopo ultimo dell’attivismo intersex è proprio quello di proibire questi interventi non-consensuali e non necessari dal punto di vista medico, in quanto lesionano l’integrità corporea dell’individuo e spesso portano danni fisici irreversibili con conseguente trauma/stress psicologico.
L’ultimo mito che vorrei sfatare è quello legato alla felicità personale e alla sfera sessuale/romantica. Mi capitò di sentirmi dire da una dottoressa che, qualora non avessi scelto di modificare il mio corpo (tramite ormoni femminilizzanti e/o intervento di riduzione dei miei genitali), nessuna persona avrebbe voluto avere rapporti sessuali con me. Io stesso credevo che sarebbe stato impossibile per me trovare uno/a (o più) partner, e questo pensiero mi portava molto stress, oltre ad un abbassamento della mia autostima. Tengo a dire che non è neanche lontanamente il caso: i corpi intersex non sono “mostruosi” o “poco attraenti”, e il mio corpo intersex piace a molte persone. Al di là dell’aspetto sessuale, da adolescente ero convinto che il mio essere intersex inevitabilmente mi avrebbe impedito di vivere felicemente. Volevo a tutti i costi essere biologicamente un maschio al 100%. Crescendo e maturando, ora finalmente capisco che non è affatto il caso e che essere “totalmente femmina” o “totalmente maschio” non è un requisito fondamentale per una vita felice e soddisfacente. Vivo benissimo e sono molto felice ora per quello che sono.
RISPOSTA MEL: Grazie a TikTok, dove faccio attivismo e informazione sul mio profilo personale (@melykurutta), ho notato che la cosa più difficile da decostruire è il binarismo di sesso/genere. Numerose volte ho spiegato che intersex non è un'identità di genere, dando alle persone diversi esempi sulle possibili variazioni che i nostri corpi possono avere rispetto alla norma, eppure rimane un concetto difficilmente comprensibile. Per diverse persone è impensabile che ne esistano altre che non rientrano perfettamente nel sesso femminile o maschile, onestamente questa cosa mi intristisce.
Da un punto di vista medico invece, cosa ne pensate dei trattamenti che venivano e vengono tutt'oggi imposti alle persone intersex al momento della nascita e durante la loro vita? E secondo voi come sarebbe opportuno, se necessario, approcciarsi.
RISPOSTA STEPHAN: Penso che siano un grandissimo crimine contro l’umanità. È assolutamente inaccettabile che un intervento chirurgico venga fatto su una persona senza il suo consenso informato e senza che ci sia alcuna necessità medica. Da studente di medicina, una delle cose fondamentali che ci vengono ribadite è l’importanza del consenso informato. Prima di un intervento chirurgico o una terapia farmacologica, il medico deve informare il/la paziente su tutto quello che comporta quell’intervento/terapia, il motivo per cui si sta intervenendo, tutti i rischi e le possibili conseguenze. Ed è quello che succede nella maggior parte dei casi, tranne che per i pazienti intersex; nel caso dei pazienti intersex, il consenso informato è una rarità.
Spesso questi interventi vengono effettuati su bambin* entro i primi mesi di vita, in quanto è comune il pensiero che “prima si interviene, meglio è”. L’intento è di evitare lo stress psicologico che (secondo questi medici) deriverebbe dalla consapevolezza da parte del/la paziente intersex della propria variazione: i medici che fanno queste operazioni sostengono che sia meglio operare nella primissima infanzia, per evitare che, crescendo, il/la bambino/a diventi consapevole della sua “anomalia”. Oltre ad operare senza necessità e senza il consenso del/la paziente, spesso capita che i medici suggeriscano ai genitori di non rivelare mai il “segreto” al/la paziente; conseguentemente, le persone intersex operate passano molti anni della loro vita inconsapevoli della propria variazione e del motivo delle loro visite mediche e degli interventi. L’effetto che si ottiene è l’esatto contrario di quello desiderato: invece di aiutare i/le pazienti intersex a vivere una vita soddisfacente, si fa l’esatto contrario. Per prima cosa, gli interventi chirurgici cosmetici non-consensuali lesionano l’autonomia e l’integrità corporea dell’individuo, quindi sono (secondo me) da considerare come atti criminali. Inoltre, spesso portano a complicanze e, dunque, alla necessità di revisione; così, i/le bambin* intersex operat* dovranno subire altre operazioni per correggere le complicanze del primo intervento, finendo per passare molto tempo in ospedale senza neanche sapere il perché (e soprattutto quando il tutto era completamente evitabile, se solo non si fosse presa la decisione di mutilare un corpo sano). L’altro punto importante è il tabù; nascondere ad una persona un’informazione fondamentale sul suo corpo non le procura il benessere desiderato, bensì è fonte di grande stress e trauma. I/le bambin* intersex operat* non sono totalmente inconsapevoli della loro diversità, dal momento che spesso passano tanto tempo in ospedale e facendo visite mediche. Si chiederanno il perché della loro diversità, senza ricevere una risposta chiara. L’atto di trattare i loro corpi come un tabù, un segreto da mantenere a tutti i costi, è ciò che li farà stare male. Se trattassimo le variazioni intersex come una parte naturale della vita umana e le accettassimo invece di cercare di distruggerle, avremmo molt* più bambin* (e adulti) intersex felici e sani. I medici devono essere disponibili per aiutare i/le pazienti intersex qualora abbiano problemi di salute e/o vogliano operarsi/sottoporsi a terapie ormonali. E soprattutto, in ogni caso, devono essere disponibili per spiegazioni e chiarimenti ed essere onesti in tutto quello che fanno. L’obiettivo del medico è quello di aiutare il/la paziente, non rovinarlo/a.
Come società, dobbiamo imparare ad accogliere e ad apprezzare le diversità, non cercare di eliminarle. Nessun intervento o terapia ormonale (consensuale o non consensuale) potrà eliminare la variazione intersex di una persona; operare un* bambin* per “normalizzare” i suoi genitali non lo/la renderà una “femmina normale” o un “maschio normale”, non lo/la renderà meno intersex, ma lo/la renderà semplicemente una persona intersex operata senza il suo consenso e traumatizzata.
RISPOSTA MEL: Una parola: inaccettabili.
Quello che noi persone intersex subiamo (ovvero mutilazioni genitali alla nascita se presentiamo genitali atipici, terapie ormonali per fini estetici e culturali, coercizione da parte del personale medico per fare determinati trattamenti senza reali motivazioni di salute, ecc.) sono pratiche e comportamenti inaccettabili ed è ancora più vergognoso se pensiamo che siano la norma.
Il personale medico spesso è impreparato (circa due anni fa mi sono trovato di fronte ad una dottoressa appena laureata a cui ho dovuto spiegare la mia variazione siccome lei ne sapeva meno di me e alla fine mi ha dato un referto con l’ennesima diagnosi sbagliata) e ci tratta non come persone con diritti umani, fra cui il diritto all’autodeterminazione e all’integrità fisica, bensì come “errori” da correggere.
È ora che tutti i professionisti che si occupano di salute (sia fisica che mentale) approfondiscano le nostre variazioni con un occhio non patologizzante, è ora che noi persone intersex iniziamo ad essere trattate con rispetto: i nostri corpi non sono indecorosi, non abbiamo bisogno di essere aggiustati, bensì abbiamo bisogno che il nostro diritto alla salute venga rispettato perché essere in salute non può essere un privilegio.
Visto che fate parte del collettivo Intersexioni, ci viene spontaneo chiedervi qualcosa a riguardo: Di cosa si occupa concretamente il collettivo? Quali sono le potenzialità di un gruppo che tratta queste tematiche?
Intersexioni nasce nella primavera del 2013 ed è stato il primo collettivo ad unire impegno per la ricerca scientifica e la divulgazione sulla tematica intersex, con la difesa dei nostri diritti umani. Il gruppo è composto da persone intersex ed endosex (ovvero senza variazioni delle caratteristiche di sesso), attiviste e studiose, LGBTQI+ e alleate, che condividono l’interesse per temi tra loro interconnessi quali: l'intersezionalità tra le varie forme di ingiustizia e discriminazione; la disuguaglianza di genere e il suo rapporto con altre forme di disuguaglianza (sessismo, razzismo, classismo); la violenza di genere e la violenza contro le donne, il bullismo e l’omo-bi-intersex-transfobia; l’invisibilità intersex; i diritti delle persone appartenenti a minoranze per orientamento sessuale e identità di genere; le nuove famiglie e diritti dei genitori LGBTIQ*; i diritti degli animali non-umani e l'analisi delle ideologie alla base del carnismo e dello specismo, che dimostrano che le diverse forme di violenza e dominio contro l'uomo e gli animali non-umani hanno radici comuni.
Lavoriamo come punto di informazione e accoglienza, e fin dalla nostra nascita abbiamo cercato di creare una rete per supportare le persone intersex e le loro famiglie.
Facciamo formazione nelle scuole primarie e secondarie, nelle università, nel mondo delle professioni e dell’attivismo e del volontariato.
Organizziamo seminari, workshop e altre iniziative pubbliche, sostenendo i diritti umani delle persone intersex a livello locale e nazionale. Facciamo traduzioni di articoli e video-interviste di persone intersex, e networking a livello internazionale.
Le potenzialità di un'organizzazione come intersexioni sono diverse: analizzare numerose tematiche, apparentemente distanti fra loro, e notare le loro intersezionalità ci permette di avere una visione più ampia e unire le forze. Un esempio è fra i diritti delle persone trans e quelli delle persone intersex: mentre da un lato le persone trans possono essere ostacolate dall’ottenere cambiamenti fisici che desiderano avere, le persone intersex sono spesso costrette a subire medicalizzazioni non consensuali e non desiderate. In entrambi i casi non vengono rispettate né l’autonomia corporea dell’individuo né il suo diritto all’autodeterminazione. Per questo motivo riteniamo non solo importante, bensì necessario che queste lotte siano solidali tra di loro.
C'è stato un episodio personale o condiviso che vi ha fatto capire che era importante e necessario prendere la parola in prima persona nell'attivismo intersex?
RISPOSTA STEPHAN: Non so se sia stato un episodio in particolare che mi abbia “illuminato” verso l’attivismo. Penso sia stato più l’insieme del mio vissuto che mi ha fatto capire quanto fosse profondamente ingiusta la maniera in cui noi persone intersex veniamo trattate dalla società.
Ricordo che quando avevo appena scoperto di essere intersex, mi sono informato molto sulle diverse variazioni. Mi capitava spesso di leggere articoli/vedere documentari sulle esperienze personali di persone intersex; molte di queste avevano subito interventi di “normalizzazione” non-consensuali in età pediatrica. Gli orrori di questi interventi non hanno mai smesso di sconvolgermi.
Io mi ritengo molto fortunato a non aver subito interventi senza il mio consenso. Mi è capitato di aver parlato alcune volte con mia madre di questo argomento; lei mi diceva: "Meno male che i medici non se ne sono accorti prima, perché io avrei dato il mio consenso per farti operare!”
In realtà più che da una negligenza da parte dei medici, la mia fortuna deriva dal fatto che mia madre non mi ha mai portato da un medico per questo motivo. Nonostante le fosse capitato di accorgersi della mia diversità fisica, non ha mai ritenuto che fosse necessario indagare dal punto di vista medico; si limitava a “prendermi in giro” affettuosamente per la mia peluria in più, il mio “pomo d’adamo”, e altre caratteristiche tipicamente maschili, dicendomi spesso che sembravo un maschio. Sono molto grato di questa cosa. Nonostante la mia fortuna, mi tormentava il pensiero che le cose sarebbero potute andare diversamente. Mi tormentava l’idea che sarei potuto essere anche io una di quelle persone intersex operate in infanzia, e dovermi ora portare dietro le cicatrici e i traumi lasciati da quegli interventi. Mi faceva un forte ribrezzo la consapevolezza che sarebbe bastato giusto qualche nanogrammo in più di testosterone alla nascita (e un medico che se ne accorgesse) per crearmi una vita piena di traumi e sofferenze. Non riesco a pensare alla mia vita senza il mio clitoride ipertrofico, il mio irsutismo, e le mie altre caratteristiche intersex. Diversi medici mi hanno proposto terapie e interventi per femminilizzare il mio corpo, nonostante la mia identità di genere maschile. Mi proponevano cure che non volevo e di cui non avevo bisogno, al contempo trascurando problemi fisici che avevo e che necessitavano di cure mediche.
Sono un attivista perché penso che nessuna persona intersex debba subire il trattamento che hanno subito tutte quelle persone operate senza il loro consenso e traumatizzate. Dico spesso che mi ritengo fortunato a non aver subito interventi da bambino, ma la verità è che penso che non debba essere una “fortuna” questa, bensì un diritto umano fondamentale, da garantire sempre. Non voglio che sia una fortuna o un’eccezione, bensì la norma.
Sono un attivista perché non voglio che nessuna persona intersex subisca il trattamento che ho subito io da parte di troppi medici, tra l’insistenza verso terapie non necessarie e non volute, la mancanza di considerazione della mia identità di genere, e la negligenza nei confronti di problemi di salute reali. Non voglio che nessuna persona intersex vada da un medico che le dice che per essere accettata nella società deve operarsi, o che i suoi ipotetici problemi di salute siano “tutti nella loro testa” perché sono “infelici che non potranno mai vivere una vita normale”.
Noi persone intersex meritiamo di meglio.
RISPOSTA MEL:
Nel mio caso ho capito che fosse necessario fare attivismo nel momento in cui ho realizzato la violenza medica subita: non avevo mai sentito una storia come la mia, nonostante io non abbia una variazione particolarmente rara. Ti dirò, probabilmente il fatto che sia una variazione relativamente comune mi fa pensare quanto siamo invisibilizzate e oppresse noi persone intersex: per noi subire violenza è la norma e non sono più disposto a tollerare una situazione del genere, né per me e né tanto meno per le future generazioni. Vorrei lasciare questa vita con la consapevolezza di essere stato dalla parte giusta della storia e di aver dato il mio contributo a migliorare il benessere collettivo.
Quali sono le difficoltà di diffondere un certo tipo di inclusività in Italia e quali sono secondo voi i Paesi (se ci sono) a cui tendere in termini di apertura e accettazione di queste tematiche?
RISPOSTA STEPHAN:
Per quanto io ami l’Italia, penso che sotto certi punti di vista (in alcuni contesti) persista una mentalità retrograda. C’è ancora troppa gente omofoba, misogina, transfobica, razzista, e quant’altro. Sono tanti avvenimenti a dimostrarlo: l’affossamento del DDL Zan (che avrà i suoi difetti, ma il principio alla base è di fondamentale importanza), gli innumerevoli commenti estremamente omofobi, misogini, razzisti e transfobici sotto articoli condivisi su Facebook, i crimini d’odio non tanto infrequenti, ecc. Siamo un Paese laico nella teoria, ma nella pratica gli influssi negativi del cattolicesimo sono ancora troppo presenti nella cultura; basti pensare a come nelle scuole certi insegnanti spesso si permettono di dire parole di odio contro certe comunità di persone in nome della loro “fede cristiana”, o al fatto che non esiste l’educazione sessuale nelle scuole (oppure è infrequente e scarsa), o anche al fatto che molti ospedali in Italia sono cattolici (il che non sarebbe un problema se non fosse per il fatto che condannano l’aborto, fanno interventi non consensuali su neonati e bambini intersex, ecc).
Non voglio che le mie parole vengano fraintese: non credo ci sia nulla di sbagliato nell’essere credenti, ma credo che molte persone usino la religione pera scopi sbagliati, scegliendo di professare le cose negative e ignorando gli ipotetici messaggi positivi. Non penso neanche che in tutti i casi una mentalità retrograda o di odio derivi da un attaccamento eccessivo a principi religiosi poco etici, perché vedo che ci sono casi in cui non è così: ad esempio, ci sono medici che operano su neonat*/bambin* intersex non in nome della religione, ma perché ritengono che sia una cosa necessaria da un punto di vista puramente medico. Però penso che molti nostri modi di pensare, consciamente e subconsciamente, derivino dagli influssi del cattolicesimo.
Ci sono troppe persone spaventate dal “giender nelle squole”, un’idea completamente fittizia. L’educazione sessuale è ancora troppo tabù. Quindi per ora rimango ancora un po’ “scettico” per quanto riguarda l’apertura mentale nei confronti delle questioni intersex. Al contempo, però, vedo tante persone colte e aperte di mente e questo mi rincuora molto. Rimango in ogni caso speranzoso e motivato verso la costruzione di una società migliore.
Per quanto riguarda Paesi con maggiore apertura mentale, la mia risposta è che dipende. Ci sono nazioni con una cultura molto aperta verso le persone gay e trans, ma che al contempo discriminano le persone intersex e sostengono l’importanza degli interventi di “normalizzazione”. Ho notato che “apertura mentale” non ha un significato assoluto, ma relativo: ho conosciuto persone molto accoglienti verso persone di altre etniea, ma al contempo erano omofobe (e viceversa), o persone omosessuali e misogine, o persone che condannavano le mutilazioni genitali femminili ma sostenevano che le mutilazioni genitali intersex fossero “etiche” e “necessarie”. Per quanto riguarda puramente la questione intersex, Malta ha una legge che tutela i diritti delle persone con variazioni delle caratteristiche di sesso (vietando interventi non-consensuali e precoci di “normalizzazione”). Da quanto so, la California aveva fatto una proposta simile che però è stata bocciata, una notizia che mi ha provocato una grandissima delusione nei confronti della mia terra nativa. Rimango comunque fiducioso nella California.
RISPOSTA MEL:
Come accennato prima, è particolarmente difficile diffondere un certo tipo di inclusività in Italia quando le persone non riescono neanche ad immaginare quello che sei: come può essere inclusiva una persona se non riesce a capire la tua esistenza, nonostante tu le abbia dato diverse informazioni ed esempi? È difficile ed è molto frustrante, visto questo allarmismo nei confronti di chi è diverso. Parlare di noi, fare divulgazione e lasciarci raccontare le nostre vite è importantissimo, ma abbiamo bisogno che ci sia qualcuno disposto ad ascoltarci con una mente e un cuore aperto.
Per quanto riguarda il resto del mondo, ho il desiderio di andare in vacanza e, se mi troverò bene, trasferirmi a Malta perché ha una legge molto importante per tutelare i diritti di noi intersex (e non solo) chiamata GIGESC Act che sta per “Gender Identity, Gender Expression and Sex Characteristics Act”. Vorrei andare a Malta per capire come si vive in una nazione così - teoricamente - inclusiva, sperando che non sia solo una mia idealizzazione piena di speranza. A proposito, ho recentemente scoperto che questa nazione è fortemente contraria all’aborto e onestamente sono sconvolto, lo trovo paradossale: come può una nazione avere una legge all’avanguardia sui diritti delle persone intersex e allo stesso tempo essere così retrograda su un tema comune come l’aborto? Bho, questa scoperta mi ha tolto le parole di bocca. Insomma, alla fine ogni paese, chi più e chi meno, ha le sue magagne.
Raccontateci di come è nato il progetto Angry&Intersexy
RISPOSTA INSIEME:
Angry&Intersexy è un progetto d’informazione e attivismo nato fra il 2020 e il 2021 da un’idea di MelyKurutta e fondato insieme a Stephan Mills. Il progetto A&I è gestito dal gruppo giovani di intersexioni con un focus sulla tematica intersex. Il nostro obiettivo è quello di divulgare informazioni chiare basate su fonti verificate e di dar voce alle persone intersex che vivono in prima persona questa realtà. Il nostro progetto è presente su diversi social: Facebook, Instagram, Twitter e abbiamo anche un canale Telegram. Vi invitiamo a seguirci!
Consigliate un libro o un film per chiunque voglia approfondire l'argomento!
Per approfondire l’argomento intersex vi invitiamo a leggere il libro 'Intersex. Antologia Multidisciplinare' curato dalla sociologa Michela Balocchi (che è anche cofondatrice di intersexioni) e pubblicato nel 2019. Dalla descrizione di copertina: “Intersex raccoglie gli scritti di autrici e autori che, in diverse discipline, hanno condotto lavori pionieristici sull’argomento. Si parte dalla crisi del modello binario di sesso nella biologia e nella genetica contemporanee – che ha favorito la nascita del movimento intersex – e si arriva fino all’analisi della gestione medica delle variazioni di sesso tra dato biologico e fatto sociale, per concludere con alcune riflessioni sugli aspetti giuridici legati all’esistenza delle persone intersex, guardando al diritto e ai diritti (umani) mancati”.
Per quanto riguarda la filmografia ci teniamo a menzionare il breve documentario 'In the Image of God' diretto da Bianca Rondolino e presentato al Torino Film Festival del 2021. Il documentario parla di Levi, rabbino statunitense nato nel 1957, che come sua nonna e bisnonna è nato intersex e, purtroppo, gli è stato imposto il genere femminile alla nascita. La sua storia è molto commovente e pensiamo che sia interessante vedere come l’argomento fede si relazioni con quello intersex.
Concludendo, vogliamo menzionare il sito di intersexioni che presenta una sezione dedicata alla filmografia: qui troverete una lista di opere cinematografiche che trattano questo tema. Non dimenticatevi di darci un’occhiata!